Vorremmo veramente fare miracoli?

Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera dell’ora nona, mentre si portava un uomo, zoppo fin dalla nascita, che ogni giorno deponevano presso la porta del tempio detta «Bella» per chiedere l’elemosina a quelli che entravano nel tempio.

Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, egli chiese loro l’elemosina. Pietro, con Giovanni, fissando gli occhi su di lui, disse: «Guardaci!» Ed egli li guardava attentamente, aspettando di ricevere qualcosa da loro.

Ma Pietro disse: «Dell’argento e dell’oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» Lo prese per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante i piedi e le caviglie gli si rafforzarono. E con un balzo si alzò in piedi e cominciò a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.

Tutto il popolo lo vide che camminava e lodava Dio; e lo riconoscevano per colui che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio; e furono pieni di meraviglia e di stupore per quello che gli era accaduto. (Atti 3:1-10)

(Podcast)

Che bello questo racconto: lo zoppo chiede un’elemosina e riceve guarigione. Penso che ogni cristiano vorrebbe essere come Pietro, che in quel momento riesce a guarirlo. Vorremmo effettivamente poter avere la potenza dello Spirito santo e intervenire portando guarigione, nuova luce, riscatto, speranza, in situazioni dolorose e bloccate, tristi e impossibili.

Vorremmo fare anche noi dei miracoli simili. Ma poi questo è proprio vero? Certo ci possiamo rispondere, sì, perché tante e strazianti sono le situazioni in cui si potrebbe intervenire. Però siamo realmente sinceri con noi stessi? Alle volte: non ce ne scappiamo lontano per non affrontare il dolore e lo strazio di qualcun’altro? Non è troppo pesante sopportare il dolore, non ci fa temere che anche noi potremmo rimanere in quella situazione? La disgrazia non ci confonde? Della guerra non è vero che non vogliamo sapere tutti i particolari?

E d’altra parte il mendicante, che sta sempre lì, oggi sta ai lati di una chiesa e non alla porta Bella o all’angolo della piazza, non ci dà fastidio? Non cerchiamo di ignorarlo con lo sguardo? Non pensiamo che stia solo fingendo?

Quanto è forte quel “guardaci” che Pietro e Giovanni gli rivolgono. Infatti, chi chiede l’elemosina ha dinnanzi a sé una folla che passa: alle volte indifferente, altre volte ostile oppure c’è chi meccanicamente gli lascia qualcosa, più che per compassione, per sentirsi a posto con la coscienza o per seguire un precetto religioso. Quel mendicante, magari furbo, non è per la folla però una persona, ma parte di un arredo urbano cui ci si abitua, passando regolarmente per quel luogo.

Con il “guardaci” Pietro e Giovanni instaurano invece una comunicazione con il mendicante della porta detta Bella, quello che tutti conoscono e che riconosceranno dopo, ma che nessuno aveva mai valutato in fondo come un essere umano. Diviene, allora, guardandolo realmente non solo un mendicante petulante e zoppo, ma una persona con cui instaurare un dialogo, con cui parlare per dimostrargli simpatia umana, ma anche e soprattutto la forza dell’evangelo.

Prima di tutto c’è bisogno di un incontro personale. E poi c’è bisogno di non aver paura di intervenire, per fare miracoli. E per essere agenti del Signore occorre innanzitutto volerlo e farlo per amore del prossimo, quel prossimo che magari un po’ ci scoccia o ci spaventa.

Nel nome di Gesù Cristo!

“Sì, bello! –mi direte voi– ma quelle guarigioni miracolose, come quella del nostro passo, non ci sono più, erano legate al tempo apostolico. E anche se magari alcune volte capita che una cura medica, sostenuta dalla preghiera fervente dei cristiani sia efficace, spesso siamo confrontati solo con la nostra incapacità: non solo di un intervento miracoloso, ma alle volte anche di una azione umana che sia in certo modo risolutiva”.

Prima di tutto dobbiamo chiarirci che non parliamo di intervento umano. Qui l’azione “miracolosa” è tutta nel Nome di Gesù Cristo.

Allora interroghiamoci. Noi non riusciamo a sopportare più di tanto la sofferenza umana, perché sappiamo di non poter far molto. È perché siamo rassegnati e pensiamo che, in fondo, il mondo vada così. Ma è nel Nome di Gesù Cristo, che dobbiamo confidare, non in potenze umane o in altre persone. Serve l’intervento di Dio. E serve affidarsi a Lui.

Anche così, certamente certi miracoli non sono affatto alla nostra portata. Non basta certo pregare e meccanicamente arriva il risultato, ma non dovremmo sottovalutare la forza dell’annuncio della lieta novella di Gesù, dell’evangelo. È un annuncio che parla del riscatto dal peccato, della vittoria sulla morte e della resurrezione. Non è una parola nostra, ma è quella di Dio, che porta in ogni tempo sollievo e dignità all’animo umano, spesso solo e disperato. Una Parola che dà una guarigione interiore vivificante.

Non vogliamo dunque far figure tentando guarigioni impossibili, ma a volte anche a dire: “Gesù Cristo è il Signore e il Salvatore”, ci sembra di far figure.

Meglio prevenire che curare!

La salvezza in Gesù Cristo però –lo sappiamo– è più del guarire. E forse questo ci potrebbe bastare per lodare il Signore ad alta voce e annunciarlo senza tema. Per amore del prossimo dobbiamo parlare di Gesù Cristo, allora, perché la salvezza viene dall’udire.

Vorrei comunque aggiungere però che l’annuncio dell’evangelo, come lo vediamo nella Scrittura, è spesso in rapporto anche con la guarigione.

Aggiungerei allora che: prevenire è meglio che curare!

Nel senso che non possiamo essere a conoscenza di quante persone siano state salvate dalle conseguenze insidiose della tristezza di vivere, o da quelle malattie che nascono dal sentirsi negati nella dignità umana o disprezzati o ancora non al proprio posto nel mondo. Annunciare la grazia di Dio, che Gesù Cristo è morto proprio per ognuno di noi è una cura preventiva e profonda.

Parlare di Gesù Cristo è poi un’azione che coinvolge non solo i nostri interlocutori, i nostri prossimi che siamo invitati ad amare, ma anche noi stessi. Infatti, non riguarda il parlare di chiesa o di cultura, ma proprio di Gesù Cristo in rapporto a noi, è un invitare a fare affidamento al Nome di Gesù Cristo, cioè a tutto ciò che rappresenta come Signore e Salvatore, per pura grazia.

Ci coinvolge profondamente, sta lì il difficile! Ma fa in modo che non siamo staccati, indifferenti, egoisti, ma solidali con chi è nella distretta. E allora già saremo curativi e saremo presi in cura dallo Spirito santo. E allora saremo strumenti dell’Iddio vivente, che sostiene e salva la vita, mia e del prossimo. Amen