Non esporci … Amen

Ecco gli ultimi due video sul Padre Nostro con relativo testo…

E non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno

La traduzione di questa frase è oggetto di dibattito fra gli specialisti, ma anche fra i credenti che sono hanno imparato in un certo modo, ma vogliono sapere effettivamente il significato di ciò che pregano.

La traduzione che seguo è quella della versione detta Nuova Riveduta.  Varie sono le traduzioni e i significati che si possono dare alla prima parte: “non ci esporre alla tentazione” o “non ci indurre alla tentazione” o anche “dacci la forza di resistere alla tentazione” oppure come ultimamente è stato proposto “non ci abbandonare alla tentazione”.

Ora il significato del termine greco permette sia esporre sia indurre, con una preferenza statistica per l’indurre. Ma nella lettera di Giacomo è scritto:

Nessuno, quand’è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno; invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce.

Giacomo 1:13-14

Essendo possibile entrambe le versioni da un punto di vista grammaticale sembra allora che la traduzione preferibile, sia per un motivo teologico il: “non ci esporre alla tentazione o non ci abbandonare”. Infatti, pur essendo i testi biblici di autori differenti e scritti in situazioni e culture diverse, avendo la chiesa riconosciuto la loro ispirazione divina, noi confidiamo in un accordo dei vari testi nel loro messaggio teologico.

Ecco dunque che Giacomo ci permette di comprendere che la preghiera è un preservarci dalla tentazione che nasce da noi stessi, dal nostro far parte della società umana, con tutti i suoi compromessi e occasioni di ingiustizia, o più basilarmente dal nostro egoismo. In effetti, noi siamo armati di buone intenzioni, preghiamo di voler santificare il nome del Signore, ma ci ritroviamo spesso ad essere incerti, deboli, opportunisti e via dicendo.

Ancora una volta, non è che noi siamo così bravi da meritarci il plauso e la grazia del Signore, ma dobbiamo pregarlo per sostenerci e guidarci nelle vie del bene.

Anche la seconda parte della frase è tradotta in maniere differenti: maligno o male, nella traduzione ecumenica del 1999 addirittura con la “M” maiuscola.

Avendo citata la tentazione appena prima, viene spontaneo pensare al maligno come al diavolo, ma maligno non è solo il diavolo, e forse qui non c’entra per niente, il termine greco infatti non è quello solito di satana o diavolo, ma significa: “tutto ciò che è male e che pesa su di noi”, proprio come un tumore maligno, per l’appunto. Per questo la traduzione male vuole distogliere da questa errata interpretazione diabolica. Certamente però intenderlo con la lettera maiuscola ne fa un principio metafisico, che non è proprio nel testo.

Preferisco allora pregare secondo la traduzione con maligno, per ricordare quel male che ci pesa, che ci rende gravoso vivere e che può farci dubitare di Dio, quindi farci allontanare da Dio come le tentazioni, infatti nelle difficoltà possiamo cercare scorciatoie oppure nel dolore siamo portati a negare Dio, dinnanzi al male alle volte non ci si chiede solo “perché”, ma si dubita del suo amore incondizionato per noi…

Liberaci dunque Signore da ciò che è maligno, che oltre al dolore e alla sofferenza rischia di portarci via l’unica nostra consolazione in vita e in morte: sapere che siamo tuoi figli amati e che mai ci abbandonerai.

Perché a te appartengono il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Amen

Praticamente tutti gli studiosi giudicano questa frase un’aggiunta successiva. È un finale, forse liturgico, che conclude senza aggiungere molto di più alla preghiera, e che ribadisce la fiducia nel nostro comune Padre cui spetta per sempre il governo di ogni cosa, che ha potenza su ogni cosa e a cui solo va resa la gloria.

I riformati francesi del periodo del “Deserto”, aggiungevano sempre questa conclusione per ribadire il loro credo, quando erano costretti a partecipare alle messe cattoliche. Forse per questo fra i protestanti si usa ancora.

Quando si prega infatti non è solo uno sguardo al futuro dei secoli dei secoli, ma anche un essere in comunione con coloro che ci hanno preceduto e che non solo ci hanno consegnato la preghiera, ma anche ci trasmettono la loro speranza. Siamo noi nel loro futuro, per il quale anche hanno pregato.

L’Amen poi va spiegato. Parola di origine ebraica si può tradurre in “in verità” ma anche “è così”, come a ribadire è proprio così. La traduzione “così sia” con il congiuntivo invece introduce un senso di incertezza che non vi è presente. È proprio così già da oggi e lo sarà come lo è stato. Cosa? Quello per cui si è pregato riguardo a Dio e con fiducia anche per noi stessi.

Come scrisse Martin Lutero:

Perciò la parola «Amen» significa veramente, in verità, certamente, ed è una parola della fede ferma del cuore, come se tu dicessi: «O Dio Padre, non dubito che quanto ho richiesto sia certamente vero e che accadrà non già perché io l’abbia pregato, ma perché tu hai comandato di pregare e hai fatto delle ferme promesse.

da “Il «Padre nostro» spiegato nella lingua volgare” di Martin Lutero

Amen cioè è il ribadire la fiducia in Dio, ma anche la volontà attiva di essere con Dio. Non è affatto un’esclamazione di rassegnazione, come alcuni con leggerezza dicono, ma invece una certezza che ti fa rialzare e lottare. Amen, è il suggello conclusivo della preghiera e significa allora Signore Tu sei la nostra forza e speranza, sei Colui che ti prendi cura di noi ora e sempre. Amen